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Nuova sfida della scienza: la carta d’identità genetica

Corriere della Sera Speciale per i 50 anni dalla scoperta del DNA

Corriere della Sera
Speciale per i 50 anni dalla scoperta del DNA

Si lavora alla mappa che per la prima volta catalogherà in modo sistematico le differenze che rendono unico il Dna di ciascun uomo.

Con un’espressione presa in prestito dall’informatica possiamo dire che la mappa del genoma completata in questi giorni è la versione 2.0 di quella che gli scienziati pubblicarono nel febbraio del 2001. Come succede per le versioni successive dei programmi, la mappa 2.0 colma i tanti «buchi» presenti in quella precedente e finalmente, raggiunge lo standard di precisione prestabilito del 99,99 per cento: in pratica, su oltre 3 miliardi di basi nucleotidiche (le «lettere» che come in un enorme enciclopedia si susseguono formando il nostro patrimonio ereditario) il margine di errore è ormai di una sola lettera su 10 mila.

Non si tratta di un eccesso maniacale di zelo: solo contando su questo livello di precisione i ricercatori potranno identificare senza ambiguità tutti i geni umani e soprattutto le variazioni che portano al loro cattivo funzionamento. E proprio come succede con i programmi informatici, pronta una versione già se ne prepara un’altra più ricca e completa. In tutto il mondo si lavora già alla mappa 3.0, che per la prima volta catalogherà in modo sistematico le differenze che rendono unico il Dna di ciascuno di noi. La somiglianza genetica che ci lega ai nostri simili è sorprendente: confrontando il Dna di due persone a caso non troveremmo più di una differenza ogni mille basi nucleotidiche.

Ma proprio in queste variazioni sparpagliate in tutto il genoma, che i ricercatori chiamano SNPs (Single Nucleotide Polimorphisms, in gergo «snips») si nasconde la chiave per capire e prevedere le diverse reazioni individuali a un farmaco, o la diversa propensione ad ammalarsi delle patologie più comuni.

La mappa di oggi, per quanto completa, è ben lungi dal rappresentare fedelmente la varietà che caratterizza la specie umana: è piuttosto uno standard di riferimento, ricavato soltanto dal Dna di una decina di donatori anonimi. La prossima sfida è dunque quella di individuare quali variazioni si riflettono in modo più significativo sulla salute.

Su questi studi, fino a poco tempo fa appannaggio di pochi pionieri, puntano oggi gli investimenti di decine di società, attirate soprattutto dalla prospettiva di produrre farmaci «su misura» ritagliati sul profilo genetico dei pazienti, aumentando così l’efficacia del trattamento e limitando le reazioni avverse. Un consorzio a cui partecipano il Wellcome Trust (la più grande charity biomedica), laboratori pubblici e 11 multinazionali farmaceutiche ha già pubblicato gratuitamente su Internet la mappa di 1,8 milioni di variazioni individuali.

Grazie a sistemi automatici sempre più sofisticati i ricercatori possono oggi confrontare il Dna di migliaia di pazienti alla ricerca delle variazioni che sono statisticamente più frequenti nelle persone malate rispetto a quelle sane, oppure in quelle che rispondono in modo avverso a un farmaco. Sistemi del genere oggi occupano uno stanzone ma, così come è avvenuto per i computer, la miniaturizzazione della genomica è ormai alle porte. La rivoluzione è già iniziata con l’avvento dei cosiddetti microarrays o chip a Dna, supporti di silicio grandi come un’unghia in grado di leggere migliaia di variazioni in pochi minuti, grazie a un lettore laser e un computer.

Il costo è ancora proibitivo, e la conoscenza del genoma ancora troppo rudimentale per potere sfruttare in pieno le potenzialità cliniche di questa nuova tecnologia. Ma la strada è ormai segnata, e un giorno i medici guarderanno al nostro profilo genetico con la facilità con cui oggi leggono la glicemia o il tasso di colesterolo.

© Sergio Pistoi, Corriere della Sera  2003

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