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Ripensare i test COVID-19

Passare dal concetto di "test" a quello di "filtro" per contenere la pandemia.

Passare dal concetto di “test” a quello di “filtro” per contenere la pandemia.

E’ da poco uscita sul New England Journal of Medicine una breve ma interessantissima perspective sui test rapidi dal titolo: Rethinking Covid-19 Test Sensitivity — A Strategy for Containment.

E’ forse il primo paper con un approccio pratico che leggo dall’inizio della pandemia. Gli autori (School of Public Health, Boston e University of Colorado, Boulder) esortano a considerare i test rapidi con altri criteri rispetto al golden standard (RT-PCR) in base appunto a ragionamenti pratici ed epidemiologici.

La sostanza è: i test rapidi non vanno valutati in base alla sensibilità del singolo test – come si fa ora – ma nell’ottica di test ripetuti e diffusi. Se vogliamo una vera sorveglianza basata sui test, dobbiamo smettere di pensare al “test” e ragionare in termini di “test regimen”, cioè di una strategia di esami ripetuta e diffusa.

Ad esempio, i nuovi test rapidi per Sars-Cov-2 – come gli antigenici- sono molto meno sensibili della RT-PCR, tanto che verrebbero scartati applicando gli attuali criteri di approvazione della diagnostica- ma si prestano molto meglio ad essere ripetuti su moltissime persone (specialmente- questa è una mia annotazione- se eseguiti sulla saliva).

E’ evidente che un test ripetuto in maniera strategica su un sacco di persone (magari perchè puoi farlo da solo a casa) può avere una sensibilità molto minore ma essere molto più utile di un test più performante ma fatto una volta sola su una quota relativamente ristretta della popolazione . Quello che deve contare quindi, anche nella valutazione delle autorità sanitarie, non sono le caratteristiche del singolo test, come se venisse fatto una volta sola, ma del regime di test, considerando a priori che verrà ripetuto in un’ottica di sorveglianza diffusa.

In questa ottica il test è considerato parte di un “covid filter” più complesso, non uno strumento diagnostico a se stante.Bisogna insomma pensare ai test rapidi e riconsiderare i loro criteri di validazione in base a sani ragionamenti pratici, senza sclerotizzarsi nelle definizioni da manuale.Il paper non cita espressamente i test sulla saliva, ma ovviamente il concetto è lo stesso.

Gli autori non hanno scoperto nulla di straordinario: dicono cose evidenti con cui perfino io ammorbo da tempo i miei lettori. Ma è importante che vengano scritte su NEJM, un giornale prestigioso che ha un’influenza nella comunità scientifica.

Ora speriamo che anche i nostri decisori leggano il paper, e ne facciano tesoro. E speriamo che lo leggano anche quei colleghi, non troppo ferrati nel testing, che ogni volta che parlo di test rapidi commentano compulsivamente “eh ma la sensibilità! Eh ma la sensibilità!”.

Una pandemia si combatte con strumenti utili e validati, scientificamente solidi ma anche col pensiero pragmatico.

Nel paper non c’è nulla di particolarmente tecnico ed è quindi accessibile a chiunque abbia la curiosità di leggerlo con attenzione .https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2025631…

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