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Figli di Piero

Il Piero Angela dei primi tempi è quello che più mi ha ispirato ed entusiasmato fin da ragazzino. Non per nostalgia ma perché in quegli anni la narrazione di Angela è stata decisamente rivoluzionaria sul piano stilistico e dei contenuti.

Ho lasciato passare qualche giorno per offrire un ricordo di Piero Angela più “tecnico” e possibilmente alla larga dall’agiografia che abbonda e che lui stesso, credo, avrebbe trovato eccessiva. La mia generazione (e, scopro, anche quella successiva) è cresciuta con le trasmissioni di Angela.

Chi fa il mio mestiere gli deve sicuramente tantissimo- non fosse altro che in termini di ispirazione. Siamo in qualche modo tutti figli o nipoti di Piero e il suo stile ha fortemente influenzato la divulgazione scientifica italiana.Più che celebrare la sua figura mi interessa tuttavia notare come l’approccio di Angela, e il suo stile, siano cambiati nel corso della sua lunga carriera di pari passo con l’evoluzione del panorama televisivo.

Poco si è detto ad esempio della spinta rivoluzionaria e innovativa che Angela aveva impresso con le sue prime trasmissioni, piene di novità stilistiche, tecniche e narrative.

Riguardando i programmi di Angela degli anni ’70 e fino ai primi anni ’80 non si sente odore di archivio ma si respira ancora oggi la freschezza che manca a gran parte della TV odierna. Il suo racconto in quegli anni era focalizzato sull’attualità e sulle frontiere più avanzate (magari meno consolidate) dei vari settori della ricerca e della tecnologia. Quello che gli anglosassoni chiamano il “cutting edge”.

L’approccio televisivo, poi, era innovativo e sperimentale, pensiamo ad esempio alla serie del viaggio nel corpo umano, con effetti speciali che oggi ci fanno ridere ma allora erano nuovissimi. Con lui che fisicamente entrava nella storia-altra cosa che da noi, all’epoca, non si era vista così spesso. Oppure la sua storica serie di indagine sulla parapsicologia, costruita sui canoni del giornalismo di inchiesta.

Il Piero Angela dei primi tempi è quello che più mi ha ispirato ed entusiasmato fin da ragazzino. Non per nostalgia ma perché in quegli anni la narrazione di Angela è stata decisamente rivoluzionaria sul piano stilistico e dei contenuti. Il sogno di raccontare la frontiera, il bleeding edge, mi è arrivato anche da lì, poi è rimasto appiccicato e me lo sono portato dietro fino ad oggi.

La mia sensazione è che con il tempo e il mutare del panorama televisivo e del pubblico di riferimento, la divulgazione di Angela (sempre eccellente) si sia concentrata su formati più tradizionali e su temi e argomenti più consolidati, dove ormai era il consenso scientifico era formato e i giochi erano fatti. Da un certo punto in poi (più o meno dalla fine degli anni ’90) suoi programmi sembrano puntare soprattutto ad “alfabetizzare” un pubblico generalista e digiuno di scienza, divulgando (benissimo) nozioni consolidate con un formato fisso e rassicurante, più che appassionare un pubblico giovane e “affamato”.

Obbiettivo buono e giusto, che lui stesso ha sempre dichiarato di voler ottenere, ma che forse ha tolto enfasi al racconto “cutting edge” e alla sperimentazione delle prime trasmissioni, dove si entrava (anche letteralmente, con gli effetti speciali) nella ricerca e nella meraviglia della scoperta.

Non è ovviamente una colpa. Nelle sue parole, anche recenti, Angela mostra una lucidità e una freschezza che molti giovani dovrebbero invidiare, e che gli stessi giovani apprezzano, ma non si può chiedere a un autore avanti negli anni, per quanto geniale, di mantenere la stessa spinta di sperimentazione e innovazione. Considerato anche un pubblico televisivo di riferimento che per ragioni demografiche è sempre più vecchio, mentre i giovani si rivolgono a canali differenti.

Casomai è mancata, da parte della TV italiana, la volontà di “mettere a sistema” Angela, di completare l’offerta divulgativa investendo seriamente su programmi nuovi che sfruttassero magari la sua scia, proponendo la stessa qualità e livello scientifico ma con formati diversi, con più enfasi sulle sfide e la scoperta in diretta, proprio come il primo Angela ci aveva abituato.

La BBC, ad esempio, ha un mostro sacro come Attenborough, praticamente coetaneo di Angela, ma questo non le ha impedito di sperimentare una miriade di nuovi formati divulgativi sfruttando anche il traino dei suoi documentari. Da noi questo non è accaduto, a parte qualche esperimento sul web, ed è un peccato.

La divulgazione, come tutto il panorama comunicativo, è o dovrebbe essere un ecosistema dove accanto ad un blockbuster generalista fatto benissimo come SuperQuark sarebbe utile proporre approfondimenti o spin-off con formati diversi, magari rivolti ad altri target.

Con Angela purtroppo non ho mai lavorato, anche se ho avuto l’onore di essere intervistato nelle sue trasmissioni. Ho tuttavia la fortuna di conoscere bene alcuni suoi stretti collaboratori, cosa che mi permette di notare un aspetto importante e poco pubblicizzato del suo metodo: la qualità dei giornalisti, esperti e autori di cui si è sempre avvalso.

Angela notoriamente lavorava con un gruppo relativamente ristretto di persone che cambiava di rado. Competenza, sobrietà e serietà nel lavoro sono caratteristiche comuni a tutti i collaboratori di Angela che conosco.

Magari mi sbaglio, ma non credo si potesse collaborare a lungo con Angela- da giornalisti o esperti- e contemporaneamente fare i pazzi sui social straparlando della qualunque. La capacità di circondarsi di persone valide e affidabili e tenersele strette (e vale anche per gli scienziati che intervistava) credo sia stata una costante e un motivo di successo nella carriera di Angela. Il fatto poi di avere creato una squadra duratura è una cosa preziosa che purtroppo accade raramente nel nostro mestiere.

Angela, un giornalista senza formazione scientifica, è diventato il primo e più importante divulgatore italiano. Confermando l’idea che l’esperienza diretta in ricerca può servire (a me ad esempio serve moltissimo) ma non è obbligatoria se ci sono talento, capacità giornalistiche, curiosità, sano pensiero scettico e un atteggiamento realistico, rispettoso ma senza complessi di inferiorità o totem nei confronti della ricerca e di chi la pratica.

Dato che era molto spiritoso, Angela si sarebbe sicuramente divertito leggendo i commenti di alcuni scienziati che sui social piangono (giustamente) la perdita del più grande divulgatore italiano e solo qualche post prima dichiaravano che gli unici veri divulgatori devono essere per forza scienziati. La sottostante dissociazione cognitiva sarebbe stata certamente motivo di ilarità per il Piero nazionale.

Ci ha lasciato una grande mente, lucida e coerente fino alla fine. In qualche modo siamo tutti figli o nipoti di Piero. Ma non siamo del tutto orfani. Abbiamo tanti ottimi divulgatori che lavorano con passione, competenza ed esperienza. Diamo loro spazio, lasciamoli liberi di sperimentare a loro volta e offriamo una possibilità di cercare un nuovo pubblico e nuovi formati. Sarà il migliore modo per ricordare Angela e portare avanti la sua eredità.

©Sergio Pistoi 2022


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