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Un incerto 2018 per il premio Galileo

Su ScienzainRete leggo che il Premio Galileo per la divulgazione scientifica, uno dei riconoscimenti più ambiti nel campo della comunicazione scientifica italiana, è destinato da quest’anno a cambiare radicalmente, e in peggio. Il Comune di Padova, che ha avuto il merito di inaugurare e portare avanti per undici anni il […]

Su ScienzainRete leggo che il Premio Galileo per la divulgazione scientifica, uno dei riconoscimenti più ambiti nel campo della comunicazione scientifica italiana, è destinato da quest’anno a cambiare radicalmente, e in peggio. Il Comune di Padova, che ha avuto il merito di inaugurare e portare avanti per undici anni il premio, avrebbe infatti intenzione di modificare il meccanismo che lo rende speciale, riducendolo di fatto ad un premio locale come tanti.

Nel 2013 ho avuto il privilegio di vincere il premio letterario Galileo. Per questo mi sento titolato in qualche modo a parlare di questa iniziativa, avendola vissuta in prima persona. Alcune personalità ed ex giurati del premio hanno scritto una lettera aperta invitando a ripensare questa decisione. Condivido la loro preoccupazione e cercherò di riassumere perché:

  • Chiariamo subito: se non sei uno che scrive o legge libri di divulgazione (cioè se statisticamente fai parte della maggioranza degli italiani) ti chiederai perché il mondo dovrebbe interessarsi alle sorti di un premio letterario dedicato al settore. Ottima osservazione: infatti, dovrebbe fregartene davvero poco. Perfino a me che ci lavoro interessa marginalmente un premio letterario dove gli autori se la suonano e se la cantano. Il fatto – e questa è la cosa più importante che voglio dire – che il Galileo è molto più di questo. Rappresenta infatti un’occasione unica di incontro fra ragazzi, il mondo della scuole, insegnanti e autori intorno a contenuti interessanti. E’ un cocktail benefico a lento rilascio, un’esperienza che anche ad anni di distanza lascia segni positivi sui partecipanti. Un’alchimia che si è creata non solo grazie al lavoro di chi la organizza, ma anche per la sua formula che lo rende un evento speciale.
  • Il premio, modellato sul più famoso Campiello, prevede la selezione di una cinquina di libri finalisti da parte di una giuria tecnica di esperti. I libri della cinquina (ingrediente fondamentale) vengono poi letti e votati da una giuria di studenti delle superiori, una classe per ciascuna provincia italiana, che decretano il vincitore.
  • Girando per le scuole italiane (negli ultimi 4 anni ho incontrato quasi 18mila studenti) mi sono reso conto di quanto il Galileo sia stimato e conosciuto nel mondo della scuola superiore. E’ anche difficile capire, senza averlo vissuto, quanto sia speciale per i ragazzi e i loro insegnanti partecipare a questa iniziativa. Quattro anni dopo la finale del Galileo, vengo ancora chiamato da insegnanti che hanno fatto parte della giuria con le loro classi e sono in contatto con studenti, oggi all’università, che hanno letto e votato i libri finalisti. La giornata finale, con il centro di Padova gioiosamente invaso da centinaia di studenti di tutta Italia, è un evento per il quale esistono pochi analoghi nel mondo, e che aveva lasciato di stucco anche due dei miei co-finalisti che venivano dall’estero. Ho avuto la piacevole sensazione di partecipare ad una competizione dove l’obbiettivo principale non era premiare gli autori (che pure sono contenti di vincere come in tutte le gare che contano) ma coinvolgere e responsabilizzare i ragazzi nella scelta critica. Pochi premi letterari hanno un tale potenziale di coinvolgimento nel lungo termine, e questo si deve al meccanismo attuale del premio e alla sua valenza nazionale.
  • Ho scritto “nazionale” ma dovrei dire: “internazionale”. Pur essendo il Galileo un premio per opere edite in italiano, molti autori sono stranieri, e di ottima levatura. In finale con me c’erano bestselling authors come Sam Kean e Frank Close, che sono venuti a Padova. Il fatto che un autore di divulgazione relativamente sconosciuto (come il sottoscritto) possa competere con grandi autori stranieri, anche se in traduzione, è raro nel panorama italiano. Ridurre un premio del genere all’ambito locale significa senza mezzi termini ucciderlo.
  • Per quanto possa sembrare un dettaglio noioso, la selezione a cui ho assistito è di rara semplicità e trasparenza, e mette al centro i ragazzi, i loro gusti e senso critico come poche competizioni a mio parere sono riuscite a fare. L’intera discussione e votazione della giuria tecnica è ripresa in streaming, e tutti possono seguirla da Internet. Fino all’ultimo voto che arriva dalla giuria popolare, nessuno conosce il nome dei vincitori. Meglio, molto meglio di Sanremo, per dire.
  • Il cambiamento annunciato, a quanto pare, ridurrebbe drasticamente il numero di studenti in giuria limitandoli alle scuole intorno a Padova. Introdurrebbe anche, (ma perché poi?) una giuria di 200 ricercatori dell’ateneo padovano che di fatto diluirebbe l’ingrediente più importante del premio: l’opinione dei ragazzi che nel meccanismo attuale li rende i veri protagonisti dell’iniziativa. Anche se fatto in perfetta buona fede, il nuovo meccanismo non potrà mai essere altrettanto chiaro e trasparente di quello attuale. Ma poi, davvero, perché mai far votare 200 ricercatori universitari per un premio letterario finora rivolto ai ragazzi?
  • Come tutti, spero anch’io che il comune di Padova ci ripensi e trovi le risorse, magari grazie ad nuovo sponsor. La scelta di cambiare sistema è dettata da difficoltà economiche che non sono una novità. Già nel 2013 gli organizzatori mi dissero che non vedevano un futuro roseo: i conti fino a quel momento erano tornati grazie al generoso supporto di sponsor industriali della zona ma che la crisi stava assottigliando i contributi privati. Le edizioni più recenti hanno visto la riduzione degli studenti invitati a Padova (un tempo erano oltre 800 e tutti spesati con i loro insegnanti).
  • Dobbiamo essere realistici: non è facile chiedere a un’amministrazione locale, di questi tempi, di dirottare soldi e tempo su un evento che va soprattutto a beneficio di ragazzi e scuole nel resto d’Italia quando, magari, ci sono poche risorse per le scuole dietro casa. Per una città come Padova è anche difficile capitalizzare economicamente su un evento che richiama allegre scolaresche, invece che – per dire- su un festival che attiri gente famosa, sponsor con lustrini e ricche combriccole.
  • Difficile ma non impossibile. Senza stare col piattino in mano, se si riconosce che il Galileo è un evento di richiamo a livello nazionale, forse vale la pena di tirare fuori il miglior spirito manageriale e trovare una formula che convinca università, imprese, cittadini, attività commerciali a contribuire anche economicamente alla sua crescita senza trasformarla in un premietto locale che andrà a morire nel tempo. Ci vuole insomma la lungimiranza di capire che se un evento come il Galileo non ci sarà più, alla lunga sarà anche la città ospitante a rimetterci.

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