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Perché i divulgatori non sono comunicatori (Se pensi di essere un comunicatore, ti conviene leggere).

Per evitare epic fail bisogna capire e distinguere i ruoli della comunicazione.

 

Al corpulento sergente che lo malmena, Tuco Ramirez, il bandito de “Il buono, il brutto, il cattivo” risponde:

“I tipi grossi come te mi piacciono perché quando cascano fanno tanto rumore!“.

Il sergente, naturalmente, farà un brutta fine.

L’avvertimento di Tuco è utile per tutta la comunicazione ma è nel mondo dei social che diventa oro. Nei social se sei bravo puoi raccogliere un sacco di followers. Se però non li sai gestire, è un attimo che ti si rivoltino contro come droni impazziti. Più sei grande, più il botto è forte se non fai attenzione.

Se ci pensate, esiste un sacco di gente in gamba e in vista che per una frase, magari scritta in buona fede ma senza pensarci troppo, si è trovata nell’occhio del ciclone social. A volte il tonfo è grande e dai social si ripercuote perfino sui canali tradizionali.

Gli scienziati/divulgatori non fanno eccezione. Anzi, direi che sono una categoria ad alto rischio. Alcuni hanno profili molto visibili (e questo è un bene), si danno da fare a trattare temi controversi (bene anche questo), ma non hanno la competenza comunicativa per affrontare le inevitabili crisi e conflitti che un profilo pubblico genera ( e questo, l’avete capito, non è un bene).

Un esempio recente riguarda Roberto Burioni, medico e scrittore noto al grande pubblico per la sua opera di divulgazione sui vaccini.

Si è scatenato il putiferio dopo che il medico, stufo di rispondere ad anti-vax e complottisti assortiti, ha chiuso i commenti sul suo profilo Facebook.

Non è finita: ha motivato la sua decisione con una di quelle frasi che smuovono le acque procellose dei social: “la scienza non è democratica”. Apriti cielo!

Tranquilli, non mi lancerò in discussioni su scienza e democrazia. Mi interessa invece, come sempre, decifrare l’aspetto comunicativo di queste vicende onde evitare, magari anche a voi che leggete, errori potenzialmente fatali.

Questo post prende ispirazione da un interessante scambio che ho avuto con lo stesso Burioni in campo neutro, cioè nella bacheca Facebook della collega Barbara Gallavotti (ringrazio tutti per  il lucido e pacato confronto).

Burioni verrà qui presentato suo malgrado come case-study. Il caso è interessante perchè dimostra come basti davvero poco a trovarsi nei guai, anche per un opinion leader preparato e avvezzo al confronto come lui.

Burioni è chiaramente un esperto e un autore-divulgatore. Ha scritto un libro di discreto successo, va in TV ed ha un buon seguito sui social. Volendo è quello che si dice un influencer.

Fin qui tutto bene: ha raggiunto l’obiettivo di far sentire la propria voce, e di riscuotere un certo successo personale.

Allora cosa c’è che non va? C’è che il pubblico, una discreta parte dei media gli attribuisce inopinatamente il ruolo di portavoce della Scienza, della Medicina, della Ragione, di quello che volete. Lui stesso pensa, o forse pensava, che quel ruolo gli calzi a pennello.

Nel vuoto lasciato dalla comunicazione istituzionale finisce che esperti, gli autori/divulgatori, si caricano addosso una figura professionale che non è la loro ed è invece tipica del comunicatore. Questo genera aspettative errate, delusioni, passi falsi e infine, talvolta, il tonfo.

La causa di molti epic fail comunicativi è l’incapacità di distinguere il ruolo dell’ esperto/divulgatore/autore da quello del comunicatore.

Se la questione vi sembra ancora oscura, il motivo è che la confusione imperversa, purtroppo, anche fra molti addetti ai lavori. Cerchiamo di chiarire.

Ho scelto questi termini piuttosto arbitrari: autore/divulgatore e comunicatore. Se non vi piacciono, non fissatevi con le parole e chiamateli come vi pare. Basta che ci capiamo sulle differenze:

Autore/divulgatore è colui che porta la sua voce e il suo messaggio al pubblico. Gli interessa raccontare. La divulgazione è il suo fine.

Comunicatore è il professionista che porta il messaggio di qualcun altro, ad esempio un committente istituzionale. Il comunicatore è uno stratega, con un piano e una competenza specifica. Per il comunicatore la divulgazione non è un fine ma uno strumento. Gli interessa l’effetto finale della comunicazione sulla gente.

Queste due figure possono anche convivere nella stessa persona (è il caso del sottoscritto, che fa alternativamente i due lavori di giornalista-scrittore e consulente per la comunicazione). Si tratta però di ruoli assolutamente distinti.

Vediamo meglio:

  • Se scrivo un libro/articolo/documentario sui vaccini, sul DNA, sulla storia del tennis o quello che volete, se vado in giro a fare conferenze per conto mio, sono un autore/divulgatore.
  • Come autore/divulgatore (includiamo nella categoria anche il mestiere di giornalista) ho il dovere di raccontare cose vere. Se sono bravo posso anche sperare di cambiare la testa della gente, diventare famoso e vendere un sacco di copie. Ma non ho un piano preciso, non sto dentro ad una strategia. Sono semplicemente uno che ha una storia e la racconta.

Se il ministero Pinco Pallo, l’Università Tizio-Caio o la ditta Acme lanciano una campagna di comunicazione, ecco che entra (o dovrebbe entrare) in gioco un comunicatore professionista che:

  • elabora un piano di comunicazione con obiettivi e strategie chiare;
  • implementa le azioni previste dal piano;
  • valuta il raggiungimento degli obiettivi con metriche misurabili tipo: quante persone che prima non facevano una cosa ora la fanno grazie alla mia campagna? Quanti hanno cambiato percezione? E così via.

Notate le differenze? Eccone alcune:

  • L’autore non ha necessariamente un piano strategico e obiettivi chiari e misurabili; il comunicatore deve, o dovrebbe, averli;
  • All’autore interessa comunicare un messaggio; al comunicatore interessa l’effetto finale e misurabile della comunicazione sulle abitudini o le percezioni del pubblico;
  • L’autore risponde al suo pubblico (se è il caso anche alla legge) di quello che dice; il comunicatore risponde dei risultati della comunicazione rispetto agli obiettivi prefissati, di solito al committente.
  • Il bravo comunicatore si vede poco. Lavora in silenzio e nell’ombra, come i personaggi di Clint Eastwood. Ci sono comunicatori sconosciuti ai più, che magari in una delle loro campagne hanno avuto più successo di dieci libri di autori in vista, senza per questo togliere nulla a questi ultimi e alla loro bravura.

 In questa rara immagine: un autore/divulgatore messo a fare il comunicatore

Se prendi un bravo autore/divulgatore e gli fai fare il comunicatore hai in mano una potenziale ricetta per il disastro. Come Clint Eastwood che si fuma il sigaro davanti alla dinamite.

Faresti riparare i freni della macchina al tuo commercialista? Il rischio è evidentente, sono mestieri diversi. Eppure succede, tutti i giorni.

Succede che il pubblico, e anche molti addetti ai lavori, finiscono col rimproverare Burioni per aver chiuso le comunicazioni sulla sua bacheca — un gesto certamente poco inclusivo — dimenticando però che Burioni è un autore/divulgatore, non un comunicatore.

E’ un vizio di molti autori/divulgatori sollevare un tema spinoso e poi, quando magari arriva la bufera di commenti e post, ritirarsi per tornare alle proprie occupazioni. E’ un atteggiamento irritante, specialmente per chi dopo deve raccogliere i cocci di una comunicazione improvvisata, ma è comunque legittimo.

Sono dell’idea infatti che un autore/divulgatore abbia tutto il diritto di andarsene, oppure chiudere i commenti, bannare chi gli pare sulla propria bacheca o sparire dagli schermi nel mezzo di flame che lui stesso ha iniziato. Ma solo finchè non pensa di essere un comunicatore.

Nel mio ruolo di scrittore o nel follow up dei miei articoli, stacco spesso la spina alle teste calde: come autore/divulgatore non ho tempo e voglia di litigare con i fanatici o gli sfaccendati anti-tutto. Taglio e banno silenziosamente molti temibili individui che vedo poi sfogarsi nelle bacheche degli altri.

Come comunicatore, invece, questo non posso farlo.

Reazioni che per un autore sono comprensibili, come urlare la propria rabbia o chiudere le comunicazioni quando il gioco si fa duro, per un comunicatore sono un fallimento professionale.

 Se sei un comunicatore, non puoi battere in ritirata, mollare il committente, dimenticare l’obiettivo e rinunciare.

Nella mia carriera da consulente ho lavorato dietro le quinte di campagne anche toste. C’era un periodo in cui ricevevo quotidianamente minacce fisiche dagli animalisti. Ma avevo una strategia, un piano B e un piano C che prevedevano questa evenienza e le relative contromisure. La testa nella sabbia non è mai un’opzione quando fai il comunicatore.

Nel marasma di ruoli finisce che anche i diretti interessati perdano la bussola.

Molti giornalisti scientifici rifiutano giusamente l’idea di essere dei portavoce della ricerca, ma è pieno di altri colleghi che in perfetta buona fede si mettono in trincea, dimenticando il loro vero ruolo di watchdog.

Anche gli scienziati-divulgatori navigano a vista, confondendosi alla grande con i comunicatori.

E’ vero che data l’infima qualità di molte campagne istituzionali (ho già scritto di fallimentari campagne del ministero della salute) è facile per un bravo autore credere di avere fatto centro là dove persino i comunicatori di professione hanno fallito.

Ma è solo un bias cognitivo: non trasforma un autore in un comunicatore, nè un libro, o una pagina Facebook, in uno strumento automatico di conversione. Nel vuoto comunicativo nessuno fa centro.

Soprattutto si fa strada l’ idea tossica, spacciata in giro anche da molti addetti ai lavori, che l’obbiettivo della comunicazione sia quello di coinvolgere e fare parlare la gente.

“Al contrario molti divulgatori di professione, dopo che in otto mesi sono riuscito in quello che loro mancano da dieci anni, ovvero nel fare parlare tutti di vaccini e di scienza, mi dicono che sbaglio […] ” 

scrive Burioni in un post (non me voglia, lo uso solo come cavia perchè è rappresentativo di un pensiero frequente).

Come autore, Burioni ha ottime e invidiabili ragioni di essere fiero. Ma dalle sue parole, e non gliene faccio una colpa, traspare il meme tossico di cui sopra: alla fine sono meglio dei comunicatori perchè ho fatto parlare tutti di vaccini!

Lo riscrivo grande così si vede da lontano:

Chi fa una campagna di comunicazione, vuole raggiungere gli obiettivi concreti di percezione e/o azione. Il fine non è far discutere la gente.

Quanti erano gli indecisi e contrari prima e dopo la campagna? Quanti andranno a vaccinarsi prima e dopo? Questo è il tipo di risposte che cerca il comunicatore. Obiettivi, piano, strategia, azioni, verifica. Analisi SWOT. Quello ci vuole. Far parlare tutti non è fare comunicazione.

Nathaniel Mellors, hippy dialectics 2011 — matt’s gallery london monitor rome and stigter van doesburg amsterdam

Le metriche e l’idea che piattaforma non significa risultato sono un altro grande capitolo che differenzia il lavoro del comunicatore da quello del divulgatore/autore.

Da autore/divulgatore, sogno di avere più lettori e follower possibili.

Da comunicatore mi interessa di più il rappporto fra segnale e rumore.

Significa che il numero grezzo di contatti, specialmente sui social, è una metrica che ormai fa sorridere molti professionisti.

Bisogna infatti vedere la loro qualità e tipologia. E non è forse un caso  se a scatenare il caso Burioni è stata la sua reazione di fronte ad una mole di commenti che considerava di bassa lega, tanto da indurlo a chiuderli del tutto. Potremmo dire che è un problema di segnale/rumore proveniente dal pubblico.

Sia chiaro, il numero di persone che ti seguono è un dato fondamentale anche per un comunicatore perchè indica l’esistenza di una forte piattaforma. Ma non dice nulla sull’effetto della comunicazione.

 I libri sui temi controversi, ad esempio, vengono quasi sempre acquistati da chi ha una posizione simile all’autore.

Avere milioni di lettori o fans che già le pensavano tutti come te è un ottimo risultato per lo autore/divulgatore, ma è un fiasco per un comunicatore.


Non sto suggerendo che gli esperti o gli scienziati/divulgatori debbano rinunciare a cambiare la testa del pubblico, sottrarsi al confronto , chiudere Facebook e darsi alla macchia. Tutt’altro: il loro contributo è fondamentale nell’ecosistema della comunicazione.

Chi si pone obiettivi di conversione, però, deve pensare, appunto, di essere parte di un sistema che include altre figure che non sono sostituibili, e con le quali è opportuno collaborare.

E’ un passo difficile, specialmente quando il pubblico cresce e ti senti invincibile come il sergente di Sergio Leone. Ho fatto parlare Tuco per scherzare, nessuno se la prenda. Ho sempre augurato il meglio a tutti e specialmente ai bravi scienziati.

Le cronache, però, parlano chiaro: fare il tonfo è un attimo.

Mentre con un approccio più strategico alla comunicazione si possono evitare molti guai e raggiungere grandi risultati.

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